Letture al caso.
Partita all’improvviso per due settimane di eremitaggio, non ho compilato una selezione dei libri da mettere in valigia. Il Kindle con l’ammonticchiarsi dei “da leggere”, la piccola biblioteca trovata nella casa pugliese, qualche consiglio raccolto in altre bacheche.
Il risultato è un guazzabuglio di letture intense e leggere, serie e cialtronesche, avvincenti e noiosette, senza capo né coda. Che però, nell’insieme (più o meno un libro al giorno) fanno il loro sporco lavoro di trasportarmi ovunque senza muovermi dal posto.
Campagne lucane, città, borghi britannici, altri pianeti e mondi fantastici. Kosovo, Pakistan, Kashmir, Nicaragua. Parigi, Londra, New York, Edimburgo, Sparta e Troia. Corti e mercati, famiglie e molte, moltissime figure femminili.
Un bel giro nello spazio e nel tempo. Libri notevoli e minchiate, casualmente miscelate: l’ordine è più o mneo quello di gradimento, i miei commenti li trovate accanto alle copertine, e capirete da soli cosa faccia per voi e cosa è meglio evitare. A me, come sempre, hanno in qualche modo salvato la vita.

“I reietti dell’altro pianeta”, Ursula K. Le Guin (Mondadori)
La possibilità dell’anarchia. Dopo anni in cerca di una definizione esaustiva, o un esempio illuminante, finalmente (e, aggiungo, tardivamente) vengo premiata da questo libro magnifico. Il più importante letto quest’estate, senza ombra di dubbio. Un #passolungo, perché se è vero che si seguono con scioltezza le vicende di Shevek, fisico geniale, solitario e oppresso dai muri, in movimento fra i pianeti gemelli Anarres e Urras, è anche vero che le pagine aprono a innumerevoli riflessioni e necessitano di lunga digestione.
Un’utopia, quella della diaspora di una piccola comunità, che lascia il florido e liberista Urras per realizzare una società anarchico-collettivista sul desertico Anarres. Un’idea trasformata in concetti semplici: prendere solo ciò di cui si ha bisogno, lasciare l’eccedenza, condividere risorse e lavoro. Abolire il concetto di “mio” (perfino riferendosi ai propri genitori) per la sua inefficacia conclamata. Affidare il coordinamento non a un Governo, ma a semplici apparati tecnici e logistici. Un’utopia non priva di ombre, poiché il concetto di “potere” si rivela pur sempre ineliminabile, e alimenta un apparato burocratico da far impallidire il nostro. Ma un’utopia da cui se si fugge, se si parte, è comunque per tornare. Perché l’alternativa consuma, ingabbia, costringe in logiche che promettono di eliminare il dolore, e mantengono di riservarlo solo agli altri.
L’obiezione rivolta da chi si aggrappa alla parola utopia e rinuncia nutrirne la realtà, è che l’anarchia sia applicabile solo in piccole e isolate comunità. Per la prima volta, grazie a questo romanzo non poi così fantascientifico, ho l’impressione che la riduzione sia di comodo, non di sostanza. E, chiuso il libro, continuo a pensare. Il testo è del 1974, la lettura dovrebbe essere di sempre.
Quindi, da leggere se volete pensare.

“Il libro dell’acqua e di altri specchi”, Nadeem Aslam (Add Ed.)
Struggente e poetico, crudo e veritiero, questo viaggio nel Pakistan intollerante e avviato all’estremismo è il testo più commovente capitatomi quest’estate. Un racconto di maschere indossate, di amori architettati, piantati e nutriti, prima di essere falcidiati. Di fughe impossibili e di coscienze che urlano. Di intolleranza e comunanza.
Una lingua chiara ed evocativa conduce fra sassi e polvere, alberi resilienti e palazzi appesi al soffitto, testi sacri e profani ricuciti con filo d’oro e ritratti sovrapposti come lo sono le anime. Un incanto doloroso, in cui ci si abbandona e a cui si è strappati a forza.
Da leggere per amore.

“La straniera”, Claudia Dursatanti (La Nave di Teseo)
Dove la biografia può essere indulgente con il suo soggetto, illuminare gli eventi da una direzione precisa, a volte perfino lasciare intuire un “lieto fine” (per pretestuoso che sia), il romanzo auto-biografico non concede, viceversa, scappatoie. Parlare di sé è acuminato strumento di auto-analisi, scavo, perlustrazione di territori dalla superficie visibile, cartografabile, ma dalle profondità ignote e indistinte. Un esercizio di franchezza e sospensione del giudizio imperativi. Questo trovate nel libro di Claudia Dursatanti, che compila il suo “direfarebaciareletteratestamento” muovendosi nelle geografie spazio-temporali degli intrecci familiari, animata da feroci domande su sé. Figlia di genitori sordi e instabili, subisce e poi affronta l’ambiguità di una condizione fisica che esprime disabilità secondarie rispetto a quella psichica, e che modifica lo stare al mondo di chi le si avvicina.
Un #passolungo che non offre risposte, ma suggerisce una diversa prospettiva per affrontare la domanda.
Da leggere per guardarsi.

“Il libro del Sole”, Matteo Trevisani (Atlantide Ed.)
Un #passolungo, un libro breve, ma da leggere con molta calma, per garantirsi la scoperta delle molte suggestioni che la premessa della ricerca di un amante perduto nasconde.
Come nel “Libro dei Fulmini” (sorprendente avventura semi-onirica nel mondo dei miti e dei riti romani, pubblicato lo scorso anno), anche qui ci si inoltra in un territorio confuso, fra la realtà scientifica e quella alchemica.
Un incendio, una tempesta solare, e il buio che segue, aprono allo sguardo un città e un cielo che l’abbaglio della luce nascondevano. Una donna insegue l’uomo amato e perduto, smarrita a sua volta in una ricerca tanto necessaria quanto estenuante. Un città, Roma, nasconde un’altra città sotto gli occhi di tutti, fatta di pietre che parlano non appena la luce tace.
Da leggere se ci si interroga sulla necessità di ritrovarsi

“Piccola guerra perfetta”, Elvira Dones (Einaudi)
L’assedio di Pristina e la guerra del Kosovo attraverso tre donne chiuse in una casa, tra bombardamenti Nato, rastrellamenti serbi, fantasmi. Un piccolo romanzo di enorme densità, ferocia e tenerezza. Un #passolungo, per darsi il tempo di assorbire le atrocità, per tornare indietro con la memoria a una guerra combattuta sotto gli occhi di un’ Europa paradossalmente attonita e per lo più indifferente. Era il 1999, il conflitto in Kosovo seguiva di poco quello Bosniaco, e io ricordo che non ci capivo niente. La Jugoslavia era ancora, per me, la meta di vacanze infantili anarchiche e vagabonde con i miei genitori. Stentavo, allora, a comprendere l’idea di pulizia etnica, di vicini di casa diventati improvvisamente nemici, di città e paesi rasi sistematicamente al suolo, a volte dai loro stessi abitanti. Il romanzo di Elvira Dones è prezioso per capire che la stessa incredulità era compagna quotidiana delle vittime di quel conflitto. Le voci sono quelle delle donne, che, come spesso ricordato nel romanzo, nella società balcanica sono depositarie della cura, della protezione, dell’integrità dei nuclei. E in quel momento videro dilaniarsi al tempo stesso famiglie, relazioni, corpi, senza poter fare altro che assistere e assistersi a vicenda.
Un #passolungo, per recuperare la memoria, arrendersi all’evidenza del paradosso (la vicinanza/distanza che qui, a poche centinaia di chilometri, sperimentammo), la com-passione.
Da leggere. Punto.

“Elena di Sparta”, Loreta Minutilli (Baldini e Castoldi)
Per la prima volta, si ode la voce della donna miticamente condannata per la sua bellezza. Il suo punto di vista, la pena auto-generata dall’educazione ricevuta. L’impeto a ribellarsi, quando comprende che la propria bellezza, senza consapevolezza, è un strumento in mano ad altri. Il desiderio inespresso e mai ascoltato che qualcuno le dica: “raccontami”. La parola negata dalla maschilista società spartana, ma ancor più ignorata dall’apparentemente progressista Troia. Gli uomini abusanti e le donne che avvallano quell’idea di proprietà che ne nega l’identità.
Un breve romanzo ipotetico, che restituisce fragilità, ostinazione e dignità a una figura femminile che, per lo più, conosciamo impropriamente solo da voce maschile.
Da leggere se si vuole ascoltare.

“Le febbri della memoria”, Gioconda Belli (Feltrinelli)
Un barattolo di biscotti trovato dall’ingegnere incaricato di demolire la casa di famiglia, contiene i quattrocento fogli di carta da pacchi fittamente vergata dal Duca Charles Théobald Choiseul de Praslin, avo della scrittrice Gioconda Belli.
Un lavoro di ricostruzione storica e familiare lo traducono in questo romanzo biografico avvincente. Il Duca, scappato all’accusa di uxoricidio e alla ghigliottina nel 1847, inseguito dai servizi segreti e dalla propria coscienza, raggiunge l’Isola di Wight, poi Londra, Liverpool, l’imbarco per New York, il viaggio avventuroso con il Commodoro Vanderbilt attraverso Panama, e l’inaspettato Nicaragua che lo accoglie e redime. Si tratta di un uomo tormentato dagli eventi, che provvede a tormentarsi ulteriormente da sé. Tuttavia, nonostante il peso che porta, non esita a cogliere tutte le opportunità che la fortuna e i suoi rovesci hanno in serbo per lui. I rovelli di un nobile agiato che si confronta con la cruda realtà del mondo, e in qualche modo vi si adegua, sono di ottimo stimolo per trasformare le avversità in opportunità.
Da leggere se si ha paura del passato, del presente, del futuro.

“Palafox”, Eric Chevillard (Del Vecchio)
Palafox nasce da un uovo, e scatena il vecchio gioco con la gallina. Palafox è indescrivibile e descritto da ciascuno secondo il proprio sguardo. Palafox è immenso e micronico, volatile e terrestre, anfibio e anaerobico. Ha piume, scaglie, peli, pelle, aculei, artigli, pinne, zampe e zanne. Puoi nasconderlo nel taschino, può abbattere il ramo sui cui posa. Palafox è quello che vedi, ma al tuo sguardo fugge, scavando un varco nella rete. Palafox è un’ossessione e un bisogno, e puoi perdere il senno a sentire raccontare di lui.
Un #passocorto esilarante, rocambolesco e geniale.
Da leggere per perdere la bussola.

“Le maledizioni”, Claudia Piñeiro (Feltrinelli)
Come tutti i libri della Piñeiro, anche questo utilizza il pretesto di un mistero (in questo caso, l’inspiegabile fuga del braccio destro del leader di un nuovo movimento politico) per indagare la realtà sociale e politica argentina. Uno sguardo, a tratti assai perspicace, sulla politica in generale, sulle spinte che manifesta, sul concetto di “interesse”. E sul compromesso, che pur se abilmente manipolato, non necessariamente debba essere una strada senza uscita.
La scrittura è fluida, i temi attuali (anche in questo emisfero), la vicenda si snoda in scioltezza.
Da leggere se si vogliono guardare le cose più da vicino.

“Un uomo al timone“, Nina Stibbe (Bompiani)
Un divorzio è la fine di una famiglia? Senza un uomo al timone, si perde il saluto dei vicini, la gaiezza di una madre, la rispettabilità di una famiglia? Pare di sì, alle piccole protagoniste di questo romanzo lieve e ironico, alle quali non resta da fare altro che compilare una lista di possibili sostituti del padre, e procedere alla selezione. Segue carrellata di uomini più o meno meschini e ignobili, di cui la madre depressa e grafomane cade vittima consenziente. L’unico degno di ricoprire effettivamente la carica di “uomo al timone” arriverà, più che giustamente, quando la donna si sarà risollevata da sola, avrà ripreso in mano le redini (il timone) della sua vita, avrà ripristinato con determinazione l’autonomia necessaria a decidere che se un uomo deve esserci, deve essere per desiderio e non per bisogno.
Il romanzo è leggero, scorrevole, a volte un po’ troppo ridondante. Si lascia leggere sul bagnasciuga senza troppe riflessioni, e con qualche sorriso. Il pregio indubitabile è quello di restituire perfettamente idiosincrasie, manie, abitudini e stravaganze degli inglesi.
Da leggere nel tempo libero.

“La Luna che uccide”, N.K.Jemisin (Fanucci Editore)
Ci vuole pazienza.
Sono una lettrice abituata alla forma fantasy, ma ho impiegato oltre il 30% del libro per orientarmi nel mondo estremamente frammentario della Jemisin. Il paesaggio e i personaggi che vi si muovono prendono forma lentamente, fino a una specie di “clic” che rende l’insieme pienamente visibile. Dopo l’inziale difficoltà, comunque, la lettura concede uno sguardo interessante sul conflitto fra buona fede ed errore. Ambiguità, devastazione esistenziale, volontà di resistere a mostri che si affacciano dall’interno di sé (mentre si credeva di impegnarsi nella lotta con l’esterno) sono gli ingredienti di questa avventura. Un mondo in cui i sogni sono la liberazione, e i loro Raccoglitori dispensatori apparenti di pace (attraverso la morte, però), mette chiaramente in discussione il concetto di rettitudine formale e sostanziale.
Un #passocorto, dunque, forse impegnativo per le ragioni sbagliate (deludente, rispetto alla precedente “La quinta stagione”, della stessa autrice), ma la cui lettura non è infine priva di senso, e a tratti avvincente.
Da leggere con pazienza.

“Pratiche applicazioni di un dilemma filosofico”, Alexander McCall Smith (Guanda)
Come bere una bibita frizzante. Il palato si addormenta per il pizzicorio, la sete non si placa e gli zuccheri ingannano il metabolismo. Un vero libro inutile.
Ben lontana dalla sagacia e dall’ironia di Precious Ramotswe e la sua Ladies’ Detective Agency in Botswana, Isabel Dalhousie, filosofa e detective per caso a Edimburgo, è scialba, superficiale, impicciona e fragile in un modo tanto banale quanto poco costruttivo. Il mistero/pretesto della vicenda è minuscolo e inutile. Il contorno insulso. E perfino la suggestiva Edimburgo ne esce maltrattata, ridotta a elenco pretestuoso di luoghi. Quanto alla filosofia… lasciamo perdere. Messa a caso come la riflessione sotto il casco del parrucchiere.
Da leggere… no, lasciate perdere, non mi viene in mente una buona ragione.