Casa è comunque altrove: in strada, per esempio

A Novembre ho smesso di lavorare in strada, perché non avevo più senso. Perché i miei contenuti, riassunti nel titolo “Qualcosa di personale” cominciavano a essere la scusa per concentrarvi solo più sul vostro ombelico (neanche l’orticello, l’ombelico proprio). Perché la strada, soprattutto quella torinese, ha manifestato disinteresse, quando non addirittura ostilità, per chi l’attraversava con un’idea o un’esibizione. Perché nemmeno io avevo più piacere, quindi come suscitarlo in altri?

Ma…
Lavorare in strada mi manca.
Mi manca il senso di libertà che contiene, come il peso della libertà che impone.
Mi manca fisicamente, per l’esercizio costante che richiede, la tenuta, la solidità che impone.
Mi manca osservare la strada, capirla, ascoltarla. Mi mancano gli sguardi fugaci che mi vengono rivolti, come le parole ponderate che ci scambiamo.
Mi mancano lo spazio aperto, l’aria, i cambi di temperatura. Mi rifugio a lavorare sul balcone, il mio metadone, ma l’astinenza non si placa.
Mi mancano gli aneddoti, le osservazioni, gli incontri inaspettati e la possibilità si verifichino quelli sperati.
Mi manca, in sintesi, la possibilità di trovare ciò che non stavo cercando.

Quindi torno in strada. Adesso che so perché e con cosa, posso farlo.
Il salotto vi sembrerà lo stesso, ma il cambiamento è significativo.
Vi dichiaro fin da subito che qui si pensa. “Casa è comunque altrove”, lo scrivo sulla lavagna. Il tema sono appartenenze e sradicamenti. Il carretto porta testi vecchi e nuovi, nei quali ho operato altre scelte. Il catalogo di idee è disponibile per ‘conoscere’, ‘pensare’ e ‘sentire’.
Voi venite con la vostra domanda, io la intreccio con narrativa, saggistica e poesia che non avreste mai considerato. Voci, anche molto distanti da voi, per riflettere che esistono gli altri, non i noi e i loro.

Dal 9 marzo, probabilmente in Piazza Carignano (a Torino), sicuramente a seconda del meteo, ottimisticamente con voi.

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