Due parole in Sicilia

Lo scrittore e giornalista siciliano Ettore Zanca, autore della singolare raccolta di racconti “E vissero tutti feriti e contenti” (Ianieri Edizioni), di cui presto vi parlerò, mi ha intervistata per il Gazzettino di Sicilia.
Vi riporto qui l’articolo, perché mi ha dato la rara opportunità di dire alcune cose alle quali tengo molto.
Buona lettura!

Chiara Trevisan è tra quelli che possono definirsi alfieri di resistenza letteraria. Se la incontri hai quasi l’impressione di trovarti in un film intimista e al contempo magico. Una sorta di Amelie della Mole Antonelliana. Chiara ha un sorriso spesso stanco ma mai ricurvo. E spesso fa una attività meravigliosa. Ogni volta che può, annunciandolo dai social, va nelle piazze di Torino portando con sé dei libri, con una bici con un grande portapacchi dietro. Chi la incontra, può chiedere una magia, che lei stessa ci spiega, raccontandoci questo e altro.

Tu fai mille cose, porti parole in giro, distribuisci oculatamente come una omeopata di versi, passi di libri. Possiamo definirti una book trotter. Adesso presentati tu, con la tua magia degna di Mary Poppins.

Sono la Lettrice Vis à Vis, una sorta di mezzo di comunicazione posto fra le persone e i testi. Incrocio, nel mio salottino itinerante, ciò che passa per la testa dei miei ospiti con la pagina di un libro che ritengo possa offrire una prospettiva singolare, un punto di vista inaspettato, un appoggio diverso alla domanda che intercetto. Attraverso l’ascolto, alcune strategie che orientano la conversazione e un sistema di catalogazione di idee (raccolte da libri e incontri), raccolgo in pochi minuti le informazioni essenziali, poi ricorro alla mia biblioteca itinerante per proseguire il discorso attraverso una pagina letta faccia a faccia.
Di magico non c’è niente, e l’unica cosa che mi accomuna (esteticamente) a Mary Poppins è forse il cappello. Mi piacerebbe che il mio carretto fosse come la sua borsa, così da poter trasportare più agevolmente le decine di chili di libri che utilizzo. Ma, a parte questo, sono una persona comune, che fa un lavoro fuori dal comune, tutto qui.

Se si va sul tuo sito (lalettrice-vis-a-vis.com), non si trova soltanto il tuo girovagare, ma anche consigli di lettura, progetti speciali. Per te leggere è anche condividere. È così?

Prima per me, poi per altri, ho coltivato il concetto dei libri come zeppette: così come alcuni li usano per regolare l’equilibrio di un tavolo, mettendoli sotto una gamba, io li uso per spostare l’equilibrio dei pensieri, per sostenere il piano delle domande in modo originale, inclinandolo e sbilanciandolo, per poterlo osservare da prospettive diverse.
A partire dal modo in cui leggo ai miei ospiti, uno a uno e con l’intento di comunicare un senso e continuare una conversazione, ho fatto a priori una scelta di lettura condivisa, anziché di lettura collettiva (come sono i reading tradizionali, le interpretazioni da palco, e, in generale, le letture di un singolo per una folla, a prescindere dall’orientamento di questa).
Di conseguenza, il lavoro di lettura si declina in molteplici altri progetti accumunati da questa idea.
#nonrecensioni, cioè impressioni di lettura che valorizzano spesso una caratteristica, un’idea, un puntello possibile. Spesso con il suggerimento delle Istruzioni d’uso, come fossero il bugiardino di un rimedio.
O i trattamenti che ho chiamato “1 libro in 10 minuti”: racconti ottenuti dallo smontaggio e rimontaggio di frammenti di un testo, seguendo un filo rosso privilegiato (fra i molti possibili), offrendo una panoramica di tutti i ritmi, le voci, le temperature che questo contiene. Non un riassunto, bensì una breve immersione che lasci il desiderio di nuotare a persone diverse, con stili diversi.
Ci sono i percorsi tematici, che diventano piccoli spettacoli partecipativi, e che a partire dalle domande fondamentali, e utilizzando libri, monologhi, interazione con il pubblico, lascino con altrettante domande fondamentali. Ma con moltissimi strumenti in più per approcciarle.
Questi sono alcuni esempi, ma vale per tutti il concetto che ho riassunto nella lavagna che porto sempre con me: “L’importante non è avere tutto in testa, ma sapere dove andare a trovarlo” (J. Villoro). La condivisione è fondamentale, per ampliare il volume di risorse cui attingere. Dunque mi muovo in questa direzione con la massima coerenza possibile e un discreto margine di creatività.

Come è nata la volontà di adempiere quella che a tutti gli effetti è una missione?

Per carità missione no. Ha una connotazione catto-punitiva in cui non mi riconosco proprio.
Questo è il mio lavoro. L’ultimo di una serie di progetti autoriali che ho creato in sedici anni di attività professionale in campo artistico.
A partire dal primo spettacolo, un Circo di Pulci in scatola (Teatro di oggetti e immaginazione), in cui la performance era preponderante rispetto alla relazione (pur essendo sempre una spettacolo uno-a-uno), ho via via, quasi senza rendermene conto, intrapreso un percorso nel campo delle performance human specific che ha spostato gradualmente l’equilibrio sulla relazione.
Quando, circa sette anni fa, ho cominciato a lavorare a un nuovo progetto, ho deciso di farvi confluire tutto quanto mi apparteneva, definiva ed era frutto degli anni di lavoro precedenti, in funzione di una domanda specifica che avevo intercettato durante il mio lavoro parallelo di investigazione sullo Spazio Pubblico: quella di uno spazio di ascolto dedicato, di interazione piacevole, di scoperta dell’inaspettato.
Dunque, i libri, l’ascolto, la creazione di uno spazio di sospensione del giudizio, e, soprattutto, una forma agevole che mi rendesse possibile essere dove la gente non sapeva mi stesse cercando. In strada, in piazza, sul percorso quotidiano di chiunque. Come un’opportunità inaspettata, da cogliere sul momento, o a cui tornare in un momento migliore. A volte, anche, da ignorare.
Cinque anni al caldo e al freddo, la maggior parte dei fine settimana (solo escludendo pioggia e neve, che siano dal cielo o nel mio umore) e una buona dose di pazienza e ardimento nel pretendere di fare l’Artista di Strada con dei libri al posto di clave e torce infuocate: ecco, più che missione parlerei di militanza, semmai.

Fino ad ora però, sei portatrice sana di parole di altri, ma a quando qualcosa che racconta di te, magari che ne so, una vita con la tua vegetafiglia.

Io sono un’accanita sostenitrice della possibilità di parlare di sé attraverso le parole di altri. Ho perfino composto una mia autobiografia, montando testi altrui. Dunque, mi pare di aver già scritto abbastanza, senza bisogno di andare a cercare un Editore per pubblicare.
Io non scrivo, io leggo. E ho troppa curiosità e rispetto per la moltitudine di libri eccezionali che sono già stati scritti (e che mi da gioia sapere siano talmente tanti che morirò prima di averli letti tutti: almeno questo piacere, sarà senza scadenza), che non sento alcun bisogno di aggiungere nulla.
I miei esercizi, letterari o poetici di volta in volta, stanno benissimo inseriti nel flusso di Facebook o in sporadici post sul sito. Sono solo istanti che passano. Impermanenza. E, per il peso che hanno, è esattamente bene così.
Magari, da vecchia, raccoglierò in un libricino i moltissimi aneddoti raccolti in questi anni di Arte di Strada, per farsi due risate e ricordare a chi legge (e quindi a chi passa) che noi Artisti di Strada non siamo arredi urbani, né sfogatoi, né immagini in televisione (che puoi guardare senza essere visto a tua volta, come dice un mio collega inglese davanti a certi zombie urbani), ma parte di un dialogo, di una conversazione. Ecco, magari scriverò di quello. Ma da vecchia, molto vecchia.

A proposito di vegetafiglia, cosa dice lei di questo tuo pedalare tra le pagine e le anime?

La Figlia quindicenne, appellata VegetaFiglia per via delle sue scelte alimentari (con conseguenti, apocalittiche, ricadute sulla routine domestica della relativa Madre), è molto paziente. Condivide per lo più gli aspetti meno divertenti del mio lavoro: le lunghe assenze, gli scarsi introiti, la svagatezza di una madre sempre con la testa in un libro, la pazienza a volte scarsa (perché esaurita in pomeriggi faticosi di strada). A fronte di tutto questo, si limita a monitorare l’umore, a ricordarmi che vale la pena continuare finché almeno mi dà soddisfazione.
Non credo abbia ancora capito esattamente cosa faccio, ma sinceramente, alla sua età mi sembra legittimo si concentri su ciò che fa lei. Sullo sfondo, spero di averle trasmesso almeno l’idea di ricerca, di perseveranza, di necessità e di piacere che, con il tempo e la coerenza, portano a strutturare la propria identità. Sarebbe già molto se, da adulta, ne facesse buon uso. Non chiedo di più.

Adesso, tra una pedalata e l’altra, dicci come incoraggeresti a leggere di più in un paese in cui abbiamo tanti aspiranti scrittori e pochi lettori.

Se chiedi alla moltitudine di persone che si definiscono (o ambiscono ad essere) scrittori, cosa leggano, la maggior parte dichiarerà che legge poco. Scrivere, paradossalmente, è la cosa più facile. Basta una buona dose di narcisismo, e molti si accontentano di quella. Leggere, viceversa, è difficile.
Leggere implica una fatica fisica e mentale, soprattutto all’inizio. Si tratta di esercitare una sorta di muscolo a compiere automaticamente una lunga serie di operazioni apparentemente semplici, per arrivare a un risultato complesso. Esattamente come farebbe uno sportivo, la comprensione del movimento e l’esercizio ripetuto portano a una semplificazione progressiva delle connessioni nervose necessarie, così da poter svolgere esercizi sempre più complicati. Dati questi presupposti, per rispondere alla tua domanda, è inevitabile che sia necessaria una ricompensa evidente, e il più possibile immediata, per giustificare la fatica. Dunque, credo che l’unico modo per aumentare il numero di lettori sia moltiplicare le occasioni di piacere che derivano dalla lettura.
Scoprire cosa stimola la gratificazione, uno per uno, cosa lascia un’impronta con la quale si prova il desiderio di continuare a misurarsi,
Non solo, anche indagare sul motivo per cui non si legge, domanda importante che sembra pochi si pongano. Tutti impegnati a evidenziare cosa ci accomuna come lettori (grazie anche a inutili e fastidiose campagne come #ioleggoperché), credo abbiamo dimenticato di chiedere agli altri il perché di una scelta diversa. Non come domanda critica e a trabocchetto, ma come curiosa e produttiva opportunità di scoprire cose in comune. Che, con il tempo, nulla vieta possano ritrovarsi anche in un libro. Purché ci sia una buona e piacevole ragione.

Ettore Zanca

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