Incursioni: Matera 2019/ -1

Piccola storia di/in trasformazione: Matera 2019/ -1
Venerdì e sabato, a Matera, ho avuto il privilegio di osservare e partecipare a una metafora, per così dire. Per raccontare e condividere il progetto di Matera Capitale Europea della Cultura, a un anno dall’inaugurazione effettiva, una passeggiata di senso in un panorama poco familiare.
Condivido, mettetevi comodi.
Olivier Grossetête, artista visuale francese, dopo una settimana di workshop collettivo con abitanti e studenti materani, ha diretto gli stessi nella costruzione di una grande architettura effimera, dalle forme in assonanza con gli edifici cittadini, interamente realizzata con scatole di cartone e scotch da imballaggio. Un struttura del peso di una tonnellata e mezza, costruita in levare, consolidata e sollevata dai partecipanti, questa volta anche estemporanei, livello dopo livello. Un edificio solido e fragile al tempo stesso, destinato a essere distrutto il giorno seguente, ricompattato e riciclato dagli stessi abitanti. Un arco narrativo, oltre che strutturale.
Antoine Le Menestrel, arrampicatore e danzatore, in serata ha richiamato il percorso di costruzione e trasformazione attraverso la scalata suggestiva della struttura, con passaggi che lo vedevano un po’ King Kong e un po’ angelo ne “Il Cielo sopra Berlino”, culminata nella successiva discesa. Una sorta di scalata al contrario, forse ancora più eloquente. Un cammino denso, articolato, nel quale il gesto riempiva i vuoti della sagoma cartonata, il corpo manifestava il contrapporsi a una gravità rovesciata, l’intenzione non era fuga verso la conclusione, bensì procedere verso una nuova destinazione.
La trasformazione è riverberata tutto il giorno, nella piazza, a partire dagli invitabili capannelli di “umarells” formatisi in mattinata. Gli anziani della città, accanto al cantiere, a borbottare e commentare, alla prima di molte richieste di aiuto per sollevare un livello, si rimboccano le maniche, aprono il sorriso e corrono in soccorso. Dopo mezz’ora, li ritrovo poco più in là, a ricordare le gesta epiche di poc’anzi: “… e poi ha detto 1,2, 3… e mi sono spostato, che sai, il mio braccio… ma tu non avevi capito, eh… pensavo fosse più pesante… ma se pieghi il ginocchio così, vedi, è meglio, me l’ha detto la signorina…” (e la “signorina” è una delle intraprendenti coordinatrici del cantiere, le uniche che non subiscono trasformazione nella giornata: il loro sorriso, la loro attenzione e la loro energia non conoscono flessioni). In serata, per gli ultimi sollevamenti, mi trovo accanto alcuni di loro. Sono ormai “veterani” del cantiere. Istruiscono i nuovi arrivati, ripetono le istruzioni, mostrano le posizioni. Con affetto e competenza.
Per tutto il giorno, chiunque abbia due braccia ha anche in mano un rotolo di scotch, e lo usa con dedizione, partecipando al consolidamento. Alcuni gruppetti si affezionano a un angolo in particolare, e lo tirano su come se fosse casa loro. Su alcune pareti si riconosce una tecnica ricorrente di scotchatori. Ma mai, nemmeno una volta, ci si intralcia, sovrappone, irrita o prevarica. Nessuno è competente, ma strappo dopo strappo, sollevamento dopo sollevamento, tutti lo diventano un po’. Senza accorgersene. Quando cala la notte, e l’edificio è completo, tutti indugiamo nei dintorni di questa nuova “casa nostra”.
Quando, il giorno dopo, Antoine procede con la nuova scalata per staccare un pezzo da consegnare, simbolicamente, a Raffaele Pentasuglia, capo-costruttore del carro per la Festa della Bruna (googlate, e non perdetevela a Luglio), e dopo la sua discesa si dà il via alla distruzione, il percorso si compie.
Anche coloro che fino alla sera prima, davanti alla meraviglia dell’architettura che fremeva di luce riflessa sui pezzi di scotch, esprimevano disappunto per la sua fine imminente e prematura, comprendono e partecipano. La distruzione è processo in divenire, non cancellazione. Il crollo, la festa di salti e schiacciamenti di cartone, gli strappi, i feticci (molti segnati da scritte affettuose) da portare a casa, il rito collettivo che questa volta coinvolge anche gli ultimi arrivati, che non capiscono bene da dove si arrivi, ma intuiscono dove si potrebbe andare e salgono a bordo con entusiasmo. Tutto torna.

Lo so, sono un’inguaribile romantica e come osservatrice tendo a farmi trascinare dalla commozione, ma mentre guardavo (e sollevavo, e scotchavo e gioivo) io questo filo rosso, che ha legato Olivier, Antoine, i cittadini, l’organizzazione di Matera 2019, l’architettura di cartone, il progetto di oggi e quello del 2019, e ancor più il futuro dopo il 2019, l’ho visto brillare.
Ho visto un progetto che chiama le persone a partecipare, a fare un cammino comune, a farsi guidare in una creazione collettiva che, finita la festa, lascia non solo un segno, ma una competenza “professionale” e, soprattutto, sociale inestimabile.
La festa/test del -1 era una metafora di ciò che ci si propone per questa città. Io tornerò, speranzosa ed emozionata, a osservare i prossimi passi.

In tutto questo, l’unico che ci fa una figura meschina è il mio cellulare: fa foto pessime. Mi (vi) ricorda che la cosa migliore, sempre, è esserci e partecipare.

4 pensieri riguardo “Incursioni: Matera 2019/ -1

  1. Ciao Chiara,
    grazie per il tuo racconto. E grazie per essere stata a Matera per poterci raccontare quello che hai visto e cui hai partecipato.
    Anche senza fotografie le tue parole hanno saputo trasmettere la visione di quanto hai vissuto, di un luogo un po’ magico, in cui si può dar vita a realtà straordinarie, se soltanto ci si convince che lo straordinario e il magico possono uscire dalle nostre stesse mani e dall’incontrarsi.
    Chissà se eventi come questo sono replicabili anche in altre città..Torino, per citarne una a caso…sarebbe bello se diventassero un modo per vivere i luoghi in cui abitiamo da attori, che costruiscono essi stessi il proprio teatro, la scenografia, il palcoscenico su cui muoversi e interagire, intrecciare relazioni e tessere trame inedite, dare spazio mentale e materiale, alla creatività, come esercizio di conoscenza di sè e degli altri, lasciando che sia la fantasia a plasmare la realtà..sarebbe bello se fossero un’opportunità per ricostituire il senso della comunità, per poter camminare e non sentirsi puntini immersi tra migliaia di altri puntini di una folla solitaria..
    Chissà se lo spazio urbano potrebbe diventare il palcoscenico su cui interpretare la nostra vita, quella autentica.

    1. Cara Alessia, grazie per il tuo commento. Ti rispondo subito che ogni evento site specific è, appunto, site specific. La cosa che lo rende particolare è esattamente partire da un’idea e vedere come essa interagisca con l’ambiente circostante, si intersechi con le consuetudini, le forme di relazione fra gli abitanti, le regole di comunicazione sedimentate, i “confini” delle relazioni. Con l’obbiettivo di suggerire un altro punto di vista, un’altra possibilità di co-abitazione, sia nello spazio che nel processo artistico. I questo senso, la stessa creazione effimera come quella di Olvier, parte da un assunto progettuale, e poi si sviluppa e si manifesta in modi sempre diversi, con ricadute sempre diverse, a seconda di dove viene proposta. Io, per esempio, ho visto lo stesso progetto in altre tre città, in Francia e Belgio, ed è sempre stata un’esperienza differente.
      Mi chiedi di Torino. Se sia possibile suggerire una nuova forma di collettività e condivisone degli spazi attraverso pratiche artistiche partecipative.Ti posso dire che questa città, grazie all’apertura avuta (fin ora, ma non so quanto durerà) verso l’Arte di Strada, ha permesso a molti artisti di sperimentarsi liberamente in questo senso. Basta girare, per trovare, oltre agli spettacoli “classici” da cerchio (che pure fanno la loro parte, attraverso la proposta di codici e regole che vertono verso la rottura), anche esperimenti e pratiche originali, che prevedono una relazione con il pubblico in posizione non più di fruitore, ma di co-creatore della performance.
      Il mio lavoro di Lettrice Vis-à-Vis, che si può definire “human specific”, per esempio, è nato esattamente per sostenere la domanda che hai posto. E dopo cinque anni, nell’approfondire la triangolazione fra il mio ascolto, le richieste dei miei ospiti e le risorse della letteratura cui attingo, comincio a intravvedere piccoli germogli di mutamento di senso.
      Spero di essere stata esauriente. Ma forse, di più, lo possono essere i colleghi che con me sperimentano. Gira, guarda, cerca, scopri e contribuisci.

      1. Grazie per la tua risposta, sei stata molto chiara..
        Purtroppo per diversi motivi non vado più a zonzo per la città come qualche tempo fa, mi piaceva girovagare senza una meta precisa, se non qualche libreria, e senza uno scopo che non fosse quello del “vediamo un po’ cosa trovo sulla mia strada di curioso, cosa scopro di non ancora conosciuto”..
        Quello che tu ti sei scelta e inventata come mestiere è davvero meraviglioso, non credo che potrei imbattersi in te e nel tuo carrettino per caso in giro per la città perché come ti ho detto non frequento abbastanza i luoghi pubblici, ma mi riprometto sempre di trovare il modo di conoscerti vis-a-vis..
        Vorrei chiederti una cosa, gli artisti e le performance di cui parli sono sempre estemporanee, improvvisate, oppure ci sono degli appuntamenti di cui si può sapere in anticipo luogo, giorno e ora? Dove ppsso trovarne segnalazione? Te lo chiedo proprio perché è difficile che possa trovarli per caso..
        Grazie
        Alessia

      2. L’Arte di Strada è per sua natura libera ed estemporanea (ma non improvvisata, tanto è vero che la pratica un enorme numero di professionisti impegnati anche nel circuito tradizionale dei Festival, e che realizzano le loro performance estemporanee valutando professionalmente lo spazio pubblico e le opportunità che esso offre di volta in volta, nel suo mutamento continuo). In generale, l’unico modo è camminare e concedersi la possibilità di incontrare quello che non si sapeva di stare cercando.
        E’, tuttavia, possibile che nei prossimi mesi venga raggiunto un accordo con l’Amministrazione cittadina per l’utilizzo reale di un’applicazione messa a disposizione sul sito http://www.arthecity.com, sulla quale gli artisti avranno la possibilità di segnalare la loro presenza nelle postazioni identificate. Per ora, poiché questo processo è generato non da nostra esigenza, ma da controversie relative alla fruizione degli spazi, è tutto in stand-by. Ma puoi buttare un’occhio ogni tanto e vedere se compare qualche novità.
        Se vuoi incontrare me a colpo sicuro, invece, è molto facile: quando decido di andare in Piazza Carignano, lo scrivo in tempo reale sulla mia pagina facebbok: Vis à Vis – Chiara Trevisan. Ti aspetto!

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